ROMA – “La nostra prosperità, già minacciata dalla bassa crescita per molti anni, si basava su un ordine delle relazioni internazionali e commerciali, oggi sconvolto dalle politiche protezionistiche del nostro maggiore partner. I dazi, le tariffe e altre politiche commerciali che sono state annunciate avranno un forte impatto sulle imprese italiane e europee. La nostra sicurezza è oggi messa in dubbio dal cambiamento nella politica estera del nostro maggiore alleato rispetto alla Russia, che con l’invasione dell’Ucraina ha dimostrato di essere una minaccia concreta per l’Unione europea”.Lo ha detto Mario Draghi, consulente speciale della presidente della Commissione Ue, in audizione davanti alle Commissioni riunite Bilancio, Attività produttive e Politiche Ue di Camera e Senato in merito al Rapporto sul futuro della competitività europea.
Riguardo alla difesa, dice Draghi, “occorre definire una catena di comando di livello superiore che coordini eserciti eterogenei per lingua, metodi, armamenti e che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema di difesa continentale. Dal punto di vista industriale e organizzativo. questo vuol dire favorire le sinergie industriali europee concentrando gli sviluppi su piattaforme militari comuni, aerei, navi, mezzi terrestri, satelliti che consentano l’interoperabilità che oggi non abbiamo, o abbiamo molto limitatamente tutti noi e riducano la dispersione e le attuali sovrapposizioni nelle produzioni degli Stati membri”.
“Nelle ultime settimane la Commissione ha dato il via a un ingente piano di investimenti nella difesa europea. Mentre si pianificano nuove risorse, quindi, il succo di questo è che occorre avviare anche una riflessione su come spendere: non solo decidere un ammontare di spesa, occorrerebbe soprattutto che l’attuale procurement europeo per la difesa pari a circa 110 miliardi di euro nel 2023 fosse concentrato su poche piattaforme evolute invece che su numerose piattaforme nazionali, nessuna delle quali veramente competitiva, perché essenzialmente dedicata ai mercati domestici. L’effetto del frazionamento è deleterio, a fronte di investimenti complessivi comunque elevati, perché già spendiamo molto, siamo secondo il terzo continente per spesa militare, sicuramente molto più della Russia”.
“Spendiamo molto, ma i Paesi europei alla fine acquistano gran parte delle piattaforme militari dagli Stati Uniti- ha sottolineato Draghi- Tra il 2020 e il 2024 gli Stati Uniti hanno fornito il 65% dell’importazione di sistemi di difesa degli Stati europei aderenti alla Nato. Nello stesso periodo l’Italia ha importato circa il 30% dei suoi apparati di difesa dagli Stati Uniti. Se l’Europa decidesse di creare la sua difesa e di aumentare i propri investimenti superando l’attuale frazionamento invece di ricorrere in maniera così massiccia alle importazioni, essa ne avrebbe certamente un maggior ritorno industriale, nonché un rapporto più equilibrato con l’Alleato Atlantico anche sul fronte economico”.
“Questa grande trasformazione (delle spese per la difesa europea, ndr) è in realtà necessaria non solo per le complessità geopolitiche a cui stiamo assistendo, ma anche per via della rapidissima evoluzione della tecnologia che ha stravolto il concetto di difesa e di guerra. Se consideriamo ad esempio i droni, una stima delle forze armate ucraine rivela che dall’inizio del conflitto circa il 65% degli obiettivi centrati è stato colpito da velivoli senza pilota. Non solo i droni, ma anche l’intelligenza artificiale, i dati, la guerra elettronica, lo spazio, i satelliti e la silenziosa cyberguerra hanno assunto un ruolo importantissimo dentro e fuori i campi di battaglia. La difesa oggi non è solo armamento, ma anche tecnologia digitale. È il concetto stesso di difesa che evolve nel più ampio concetto di sicurezza globale”.
Per Draghi “la convergenza tra tecnologie militari e tecnologie digitali porta alla sinergia dei diversi sistemi di difesa, dell’aria, del mare, di terra e dello spazio. Occorre quindi dotarsi di una strategia continentale unificata per il cloud, il supercalcolo, l’intelligenza artificiale, la cybersicurezza. Questo sviluppo non può che avvenire su scala europea. La difesa comune dell’Europa diventa pertanto un passaggio obbligato per utilizzare al meglio le tecnologie che dovranno garantire la nostra sicurezza”.
Secondo l’ex premier “persino la nostra valutazione dell’investimento in difesa, oggi basata sul computo delle sole spese militari, andrà modificata per includere gli investimenti su digitale, spazio e cybersicurezza che diventano necessari alla difesa del futuro. Per tutto ciò occorre iniziare un percorso che ci porterà a superare i modelli nazionali e a pensare a livello continentale. Tutto questo riguarda non solo la nostra sicurezza, ma anche la presenza dell’Europa tra le grandi potenze”.
“Le decisioni a cui il Rapporto chiama l’Europa sono ancora più urgenti oggi, quando la necessità di difendersi e di farlo presto è al centro dell’attenzione e delle preoccupazioni della maggioranza dei cittadini europei. Un’Europa che cresce finanzierà più facilmente un fabbisogno finanziario che ormai supera le previsioni del rapporto. Un’Europa che riforma il suo mercato dei servizi e dei capitali vedrà il settore privato partecipare a questo finanziamento, ma l’intervento dello Stato resterà necessario. Gli angusti spazi di bilancio non permetteranno ad alcuni Paesi significative espansioni del deficit, né sono pensabili contrazioni nella spesa sociale e sanitaria. Sarebbe non solo un errore politico, ma soprattutto la negazione di quella solidarietà che è parte dell’identità europea, quell’identità che vogliamo proteggere difendendoci dalla minaccia dell’autocrazia”.
Per Draghi “il ricorso al debito comune è l’unica strada. Per attuare molte delle proposte presenti nel rapporto, l’Europa dovrà dunque agire come un solo Stato. Questo può voler dire o una maggiore centralizzazione delle decisioni e delle capacità di spesa, oppure un coordinamento più rapido ed efficace tra i Paesi che condividendo quei Paesi, che condividendo gli indirizzi di fondo, riusciranno a raggiungere i compromessi necessari per una strada comune”.
In ogni momento di questo processo, ha sottolineato l’ex premier, “i Parlamenti nazionali e il Parlamento europeo avranno un ruolo essenziale. Le scelte che ci sono davanti sono di grande momento, come forse non mai dalla fondazione dell’Unione Europea. La politica, in particolare la politica interna ad ogni Stato membro, ne sarà al centro. Voi parlamentari ne sarete protagonisti rispondendo con le vostre decisioni alle aspirazioni ma anche alle preoccupazioni dei cittadini. Così però, solo così, costruiremo un’Europa forte e coesa perché ogni Stato, ogni suo Stato, è forte solo se è insieme agli altri e solo se è coeso al suo interno”.
“L’EUROPA E’ PIU’ SOLA”
“L’Europa è oggi più sola nei fori internazionali, come è accaduto di recente alle Nazioni Unite, e si chiede chi difenderà i suoi confini in caso di aggressione esterna e con quali mezzi. L’Europa avrebbe dovuto comunque combattere la stagnazione della sua economia e assumere maggiori responsabilità per la propria difesa in presenza di un minore impegno americano da tempo annunciato- ha sottolineato Draghi- ma gli indirizzi della nuova amministrazione hanno drammaticamente ridotto il tempo disponibile. Speriamo ci spingano con uguale energia ad affrontare le complessità politiche e istituzionali che hanno finora ritardato e rallentato la nostra azione”.
“Quando la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, mi ha chiesto di redigere un rapporto sulla competitività, i ritardi accumulati dall’Unione apparivano già preoccupanti. L’Unione europea ha garantito per decenni ai suoi cittadini pace, prosperità, solidarietà e, insieme all’alleato americano, sicurezza, sovranità, indipendenza. Questi sono i valori costituenti dell’Unione europea, della nostra Unione europea. Questi valori sono oggi posti in discussione”.
TUTTA ENERGIA SPRECATA
“Il dato che meglio riassume la persistente debolezza dell’economia del nostro continente è la quantità di risparmio che ogni anno fuoriesce dall’Unione Europea, 500 miliardi di euro nel solo 2024. Risparmi a cui l’economia europea non riesce a offrire un tasso di rendimento adeguato.áIl rapporto analizza estesamente le cause strutturali di questa inadeguatezza. Oggi voglio soffermarmi su tre aspetti che sono diventati ancor più urgenti nei sei mesi trascorsi della pubblicazione del rapporto: si tratta del costo dell’energia, della regolamentazione e della politica dell’innovazione”.
“Una seria politica di rilancio della competitività europea deve porsi come primo obiettivo la riduzione delle bollette per imprese e famiglie. In Europa, tra settembre e febbraio, il prezzo del gas naturale all’ingrosso è aumentato in media di oltre il 40%, con punte di oltre 65%, per poi attestarsi a più 15% nell’ultima settimana- ha sottolineato Draghi- Anche i prezzi dell’elettricità all’ingrosso sono aumentati in modo generalizzato nei diversi Paesi europei e continuano a essere due o tre volte più alti dei prezzi negli Stati Uniti. Questo problema è ancora più marcato in Italia, dove i prezzi dell’energia all’ingrosso nel 2024 sono stati in media superiori dell’87% rispetto a quelli francesi, del 70% rispetto agli spagnoli, del 38% rispetto a quelli tedeschi. Anche i prezzi dell’ingrosso in Italia nel 2024 sono stati mediamente più alti rispetto agli altri mercati europei. Nei prezzi finali ai consumatori incide anche la tassazione, in Italia tra le più elevate in Europa”.
“Nel primo semestre del 2024 l’Italia risultava il secondo Paese europeo con il più alto livello di imposizione e prelievi non recuperabili per i consumatori elettrici non domestici- ha rilevato Draghi- Costi dell’energia così alti pongono le aziende, europee e italiane in particolare, in perenne svantaggio nei confronti dei concorrenti stranieri. E’ a rischio non solo la sopravvivenza di alcuni settori tradizionali, ma anche lo sviluppo di nuove tecnologie ad elevata crescita. Si pensi ad esempio all’elevato consumo necessario per i data center”.
“A livello europeo nel mercato del gas naturale è necessario esercitare il nostro potere d’acquisto, sfruttando la posizione di essere il più grande consumatore al mondo di gas. Possiamo anche coordinare meglio la domanda di gas tra Paesi, ad esempio anche riempiendo gli stoccaggi con flessibilità, in modo da evitare l’irrigidimento della domanda complessiva, cosa successa soprattutto nel 2022. Inoltre è necessario pretendere una maggiore trasparenza dei mercati. È indispensabile evitare rischi di concentrazione e rafforzare il livello di vigilanza”.
“Gran parte delle transazioni finanziarie legate al gas- ha sottolineato Draghi- è concentrata in poche società finanziarie, senza che vi siano forme di vigilanza su di esse paragonabili neanche lontanamente a quelle che esistono su altri intermediari finanziari. In linea con le indicazioni del rapporto, la Commissione ha fatto proposte sostanziali per rafforzare la supervisione e le regole dei mercati energetici e finanziari.Occorre sostenere l’azione della Commissione in quest’area, ma è anche necessaria una rapida attuazione dei provvedimenti”.
Per Draghi “anche per quanto riguarda il gas, è necessaria una maggiore trasparenza sui prezzi d’acquisto alla fonte. Il beneficio dei più bassi costi operativi delle rinnovabili raggiungeranno pienamente gli utenti finali solo tra molti anni. I cittadini ci stanno dicendo che sono stanchi di aspettare. La stessa decarbonizzazione è a rischio. I prezzi all’ingrosso dell’elettricità dipendono dal mix di generazione ma anche da come si forma il prezzo. In Europa nel 2022, pur rappresentando il gas soltanto il 20% del mix di generazione elettrica, ha determinato il prezzo complessivo dell’elettricità per più del 60% del tempo, e in Italia per circa il 90% del tempo”.
“Occorre certamente accelerare lo sviluppo di generazione pulita e investire stesamente nella flessibilità e nelle reti, ma occorre anche disaccoppiare il prezzo dell’energia prodotta dalle rinnovabili e dal nucleare da quello dell’energia di fonte fossile. Non possiamo però aspettare unicamente le riforme a livello europeo. In Italia sono disponibili decine di gigawatt di impianti rinnovabili in attesa di autorizzazione o di contrattualizzazione”.
“È indispensabile accelerare e semplificare gli iter autorizzativi. Questo- ha proseguito Draghi- abiliterebbe nuova produzione a costi più bassi di quella a gas, che rappresenta in Italia ancora il 50% del mix elettrico, a fronte del 15% in Spagna e di meno del 10% in Francia. Inoltre, senza aspettare una riforma europea, possiamo slegare la remunerazione rinnovabile da quella a gas, sia sui nuovi impianti sia su quelli esistenti, adottando più diffusamente certe tipologie contrattuali già vastamente impiegate in altri Paesi dell’Unione europea, si pensi soprattutto alla Svezia”.
IN EUROPA BASTA UNANIMITA’
“Mi è stato chiesto come facciamo andare avanti tutti insieme, e questo è un altro aspetto a cui il Rapporto dedica delle pagine. È chiaro che la prima cosa è vedere di limitare l’unanimità ad alcune decisioni particolari e muoversi a maggioranza qualificata. Secondo me questa sarà la discussione più immediata e più importante, specialmente quando ci spostiamo verso aree come la difesa”.
La difesa, ha sottolineato Draghi, “implica anche la politica estera in certa misura, perché se io mi devo mettere in comune con la difesa bisogna che tu ed io siamo d’accordo su chi è il nemico. E se non siamo d’accordo su chi è il nemico non ci vado con te, questo è chiaro. E allora man mano si arriva a decisioni molto importanti, quindi la prima discussione che ci sarà, sarà proprio tra i Paesi che vogliono muoversi verso un sistema di maggioranza qualificata e Paesi invece che difendono l’unanimità”.
Qui però, ha ricordato l’ex premier, “i nostri trattati prevedono delle forme per andare avanti separatamente, uno di questi è la cooperazione rafforzata con cui i Paesi si mettono insieme ma devono avere l’autorizzazione di tutti gli altri e il controllo del Parlamento europeo. E poi c’è una strada invece del trattato intergovernativo in cui due o tre Paesi si mettono d’accordo, fanno le cose che devono fare o che vogliono fare e non c’è il controllo europeo”. In quel caso, però, “il ruolo della Commissione è naturalmente più limitato, perché la Commissione è al servizio di tutti e non solo di chi si mette d’accordo”.
Questi, ha chiosato Draghi, “sono tre schemi, ma è probabile che alla fine su certe cose ci si muova in tre, quattro, cinque Paesi. D’altronde ci sono obiettivamente certe differenze tra Paesi e ci sono soprattutto delle differenze nella valutazione di chi è il nemico, nelle valutazioni di politica estera”.
“Gli Stati Uniti sono il nostro maggior partner commerciale, più del 20 per cento delle esportazioni europee va negli Stati Uniti. Quindi la costruzione di un muro tariffario, come ho l’impressione che stia succedendo, per forza di cose ci porterà a dirottare queste esportazioni verso, verso altre destinazioni. Ma a questo punto, siamo sicuri che vogliamo mantenere questo gigantesco surplus commerciale con il resto del mondo? Piuttosto non è meglio sviluppare la domanda interna, non trascurare le nostre infrastrutture, spendere per la ricerca, per l’innovazione, per il clima?”.
Dopo la crisi finanziaria, i tagli alla spesa pubblica, la compressione dei salari e l’austerità, ha sottolineato Draghi, “non abbiamo fatto nulla per aprire il mercato interno e quindi permettere alle nostre imprese di vendere e di estendersi nel resto dell’Unione, soprattutto nei servizi. Tenete presente che i servizi sono il 70% del Pil, quindi è fondamentale aprire e fare un mercato. Noi abbiamo un mercato più o meno unico sui prodotti, anche se come avete visto il Fondo monetario stima che ci siano delle barriere che equivalgono a una tariffa del 40%-45%, ma sui servizi è del 110%. E in effetti quello che ho scoperto parlando con imprenditori europei che si sono spostati negli Stati Uniti è che di fatto, soprattutto per le piccole imprese innovative nel campo dei servizi più avanzati e più tecnologici, in Europa è impossibile estendersi, è impossibile crescere”.
E in molti casi, ha spiegato l’ex premier, “non riescono ad aprire altre filiali, altre filiali in altri paesi, perché? Perché c’è un’eterogeneità di normative che richiederebbe una filiale con la sua rappresentanza legale. Questo, paradossalmente, è possibile solo per le grandi imprese, i Google, gli Amazon e così via, mentre le piccole imprese, che sono le nostre, sono sacrificate. Non abbiamo espanso il mercato interno e a quel punto si è creato questo gigantesco surplus che è andato verso il resto del mondo. Ma nel frattempo abbiamo continuato a diventare sempre più poveri rispetto agli Stati Uniti, che invece non avevano questo surplus, e quindi forse quella lì non era la strada giusta. Oggi è venuto il momento di pensare alla crescita interna”.
RIDURRE LE BOLLETTE
“Una seria politica di rilancio della competitività europea deve porsi come primo obiettivo la riduzione delle bollette per imprese e famiglie”. “In Europa, tra settembre e febbraio, il prezzo del gas naturale all’ingrosso è aumentato in media di oltre il 40%, con punte di oltre 65%, per poi attestarsi a più 15% nell’ultima settimana- ha sottolineato Draghi- Anche i prezzi dell’elettricità all’ingrosso sono aumentati in modo generalizzato nei diversi Paesi europei e continuano a essere due o tre volte più alti dei prezzi negli Stati Uniti. Questo problema è ancora più marcato in Italia, dove i prezzi dell’energia all’ingrosso nel 2024 sono stati in media superiori dell’87% rispetto a quelli francesi, del 70% rispetto agli spagnoli, del 38% rispetto a quelli tedeschi. Anche i prezzi dell’ingrosso in Italia nel 2024 sono stati mediamente più alti rispetto agli altri mercati europei. Nei prezzi finali ai consumatori incide anche la tassazione, in Italia tra le più elevate in Europa”.
“Nel primo semestre del 2024 l’Italia risultava il secondo Paese europeo con il più alto livello di imposizione e prelievi non recuperabili per i consumatori elettrici non domestici- ha rilevato Draghi- Costi dell’energia così alti pongono le aziende, europee e italiane in particolare, in perenne svantaggio nei confronti dei concorrenti stranieri. E’ a rischio non solo la sopravvivenza di alcuni settori tradizionali, ma anche lo sviluppo di nuove tecnologie ad elevata crescita. Si pensi ad esempio all’elevato consumo necessario per i data center”.
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