Premier presto in Libano: “Amici di Israele ma non d’accordo su tutto”

Roma, 15 ott. (askanews) – Giorgia Meloni ribadisce la condanna per gli attacchi israeliani alle basi Unifil, attacca frontalmente l’Ong Sea Watch e rivolge un appello direttamente all’opposizione perchè sostenga la nomina di Raffaele Fitto alla Commissione europea. La presidente del Consiglio prende la parola in Senato per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo – il primo dopo la designazione della nuova Commissione, che ancora deve passare il vaglio del Parlamento di Strasburgo – affrontando i principali temi dell’agenda.

La nuova legislatura europea, sottolinea, si apre all’insegna di “preoccupazione” e “incertezza” con davanti grandi “sfide”. La nomina di Fitto con deleghe “strategiche” e “di primissimo ordine”, per la premier, è “un notevole miglioramento per la nostra nazione rispetto alla composizione della commissione uscente, atteso che vedeva 4 vicepresidenti esecutivi e 7 vicepresidenti complessivi ma nessun italiano”. Questo, per lei, è prova della “ritrovata centralità” dell’Italia, a dispetto del “continuo mantra di un presunto isolamento internazionale”. Ma soprattutto è un “riconoscimento” per il Paese che dovrebbe “inorgoglire tutta la nazione, non solo i partiti della maggioranza” ed è per questo che Meloni auspica e chiede “di essere uniti” come ‘abbiamo fatto nella scorsa legislatura all’atto della nomina di Paolo Gentiloni” perchè “ci sono momenti in cui l’interesse nazionale deve prevalere su quello di parte” senza “distinguo” o “tentennamenti”. Dunque ben venga l’appoggio del Pd, che però – dice rivolgendosi nelle repliche ai banchi Dem – dovrebbe parlare con il gruppo dei Socialisti che “ha cercato di far spostare l’audizione di Fitto come ultimo tra i vicepresidenti e detto che il gruppo Socialisti europei non avrebbe accettato la vice presidenza esecutiva all’Italia”.

Venendo alle priorità della prossima legislatura, visto il difficile contesto internazionale, l’Europa – per Meloni – deve “cambiare” e “ripensare completamente le sue priorità, il suo approccio, la sua postura”. I rapporti Letta e Draghi hanno mostrato la “perdita di ruolo” degli ultimi decenni, quando “troppo a lungo ci siamo crogiolati” in un mondo che è “finito”. Adesso occorre “scegliere finalmente, e con coraggio, che cosa vogliamo essere e dove vogliamo andare” e le alternative sono due: continuare a essere “un gigante burocratico” o “invertire radicalmente questa tendenza” sulla base dei principi di “proporzionalità” e “sussidiarietà”.

Uno dei temi su cui, per Meloni, occorre cambiare è quello del Green Deal, segnato da un “approccio ideologico” con “effetti disastrosi” perchè “inseguire la decarbonizzazione al prezzo della deindustrializzazione è, semplicemente, un suicidio”. In questo quadro è una “follia” l’addio al motore endotermico entro il 2035 e l’obiettivo è “riaprire la partita”. Per perseguire e raggiungere gli obiettivi della transizione e del rilancio della competitività, come scrive Draghi, con cui “non posso che essere d’accordo” – ribadisce – servono “maggiori risorse pubbliche e private, da investimenti adeguati e da un piano coerente per raggiungerli” aprendo un “dibattito soprattutto sugli strumenti finanziari necessari a sostenere questo percorso. Un dibattito nel quale dovremo essere pronti a verificare la possibilità di nuovi strumenti di debito comune, così come a lavorare per riuscire finalmente a mobilitare adeguatamente il capitale privato”.

Ribadendo il sostegno all’Ucraina per arrivare a una “pace giusta”, Meloni ha espresso la convinzione che “quanto accade in Medio Oriente sia figlio anche di questa destabilizzazione”. Dunque c’è “preoccupazione” per quanto accade in Libano, dove si recherà a breve, per gli attacchi “inaccettabili” alle basi Unifil da parte di Israele. Lo ha detto nella telefonata di domenica a Benjamin Netanyahu da cui “pretendiamo che venga garantita la sicurezza dei nostri soldati”. Del resto, ammette nella replica, “siamo amici di Israele ma non vuol dire ovviamente che io sia d’accordo con tutte le sue scelte”. Dunque “difendiamo il diritto di Israele a vivere in pace e in sicurezza, ma ribadiamo la necessità che questo avvenga nel rispetto del diritto internazionale umanitario perché non siamo insensibili di fronte all’enorme tributo di vittime civili innocenti a Gaza, che non a caso sono state dall’inizio al centro del nostro lavoro”. Nella replica, Meloni chiarisce anche la posizione italiana sulla fornitura di armi a Tel Aviv: “Dopo l’avvio delle operazioni israeliane a Gaza il governo ha sospeso immediatamente la concessione di ogni nuova licenza di esportazione” mentre quelle precedenti al 7 ottobre “sono state tutte analizzate caso per caso”.

Altro tema al centro dell’intervento la questione dei migranti, su cui c’è un “approccio” diverso dell’Europa “grazie soprattutto all’impulso” dato dall’Italia che è “diventata un modello da seguire”. L’impostazione dell’esecutivo ha una “efficacia – per Meloni – che i numeri raccontano meglio delle parole. Nel 2024 la percentuale di sbarchi di immigrati illegali è diminuita del 60% rispetto al 2023 e del 30% rispetto al 2022”. Ringraziando “il ministro Salvini e soprattutto la Guardia Costiera italiana per il suo straordinario lavoro”, Meloni attacca duramente la Ong Sea Watch: “Considero vergognoso che definisca le guardie costiere ‘i veri trafficanti di uomini’, volendo delegittimare tutte quelle degli Stati del nord Africa, e magari anche quella italiana, in modo da dare via libera agli scafisti che questa ONG descrive invece come ‘innocenti’, che si sarebbero ritrovati casualmente a guidare imbarcazioni piene di immigrati illegali. Sono dichiarazioni indegne, che gettano la maschera sul ruolo giocato da alcune ONG e sulle responsabilità di chi le finanzia”.

Meloni difende anche i centri in Albania (per i quali oggi sono partiti i primi 16 migranti), “una strada nuova, coraggiosa, inedita, ma che rispecchia perfettamente lo spirito europeo e che ha tutte le carte in regola per essere percorsa anche con altre Nazioni extra-Ue”, la definisce. A questa strategia si unisce quella del Piano Mattei e dell’attenzione all’Africa. “Non è un segreto per nessuno – argomenta – che non siamo gli unici a guardare all’Africa e che ci sono altri attori – Russia e Cina in testa, ma non solo – che portano avanti le proprie strategie, spesso con un approccio molto più assertivo del nostro. Rimango convinta che, nel rapporto con le Nazioni africane, noi rimaniamo potenzialmente più competitivi, perché la continua a leggere sul sito di riferimento